L’Escondut

Silvia Margaria. L’Escondut, 2023.
Installazione site-specific sul “Sentiero Bioparco Acqua Viva (sav)
Filatoio Rosso” (Caraglio, CN), pittura atossica rossa su alberi.
Narrazione di Caterina Ramonda.

“Il loro tronco, ampio e curvo, è un invito a tracciare segni (…)” da Breve storia degli alberi da lettura di Giuseppe Barbera.

Percorrendo il sentiero che collega il Filatoio Rosso e il Bioparco Acqua Viva, attraverso boschi e meleti, piccoli dislivelli e terreni diversi, è possibile, forse, vedere l’escondut, una nuova creatura delle storie occitane. L’escondut non ha forma se non negli occhi, che osservano nascosti tra i rami. Lo si può vedere guardando gli alberi con attenzione, alla ricerca di piccoli o grandi occhi rossi, mentre si cammina in una specie di vigile passività, rallentando il passo per volgere lo sguardo più in alto rispetto alla prudenza dei piedi: ammettere che la vita si muove nello stesso modo, come ricerca precaria che cammina in avanti nell’ignoto, significa dare importanza a ciò che non è immediatamente chiaro, alle cose che non hanno un tornaconto pratico e quantificabile, che capitano quasi come un incidente furtivo.

L’opera diffusa L’escondut è una dichiarazione d’appartenenza a un orizzonte che dà valore al non visto, a ciò che sembra non controllabile, la cui natura è quella di risvegliare il desiderio di un’esistenza più cangiante, attenta al contingente, in perenne ridefinizione.

Nei boschi di queste valli occitane si aggirano creature diverse: potresti incontrare, tra gli altri, una masca che raccoglie erbe per i medicamenti oppure un servanòt che corre veloce a rubare dei panni stesi o a fare qualche altro scherzo a uomini, donne e bambini che abitano lì vicino. O ancora, se stai rientrando a casa troppo tardi, a notte fonda, potrebbe apparirti lo flamason, uno spiritello che si diverte a complicare il ritorno a casa sani e salvi e che fa passare la voglia di fare le ore piccole.

Si dice che, quando si cammina nel bosco anche da soli, è facile avere la sensazione di essere osservati: certo, ci sono animali piccoli e grandi nascosti tra le fronde, un gufo che sembra sonnecchiare ma invece è ben all’allerta, uno scoiattolo che corre sul ramo, un cerbiatto immobile dietro un tronco. Aggiungici i servanòt che sghignazzano sotto a un cespuglio e tutte le altre creature fantastiche… E sembra che persino gli alberi abbiano occhi. Sì, certo, quei segni tondi e un po’ rugosi sui tronchi lisci sono cicatrici di vecchi rami, ma mica tutti!

Già, perché in questi boschi c’è anche lui: l’escondut. Lui sì che ti guarda. Non si sa chi se ne sia accorto per primo, ma di certo è da tempo immemore che si sente parlare di questa creatura in forma di occhio che si posa sui tronchi e cerca di mimetizzarsi tra le irregolarità della corteccia. Sta fermo e osserva. Eppure, anche se è di un colore ben visibile, non tutti lo vedono. Dipende dalle persone e, in un certo modo, da come camminano.

Si dice che, molto tempo fa, in paese fecero un esperimento. Scelsero una manciata di persone tra gli abitanti: un uomo, il capo dei cacciatori dall’occhio esperto; una donna, che ne sapeva di erbe; il medico che ne sapeva di scienza; il prete che sapeva il latino e poi una bambina, a rappresentare i piccoli e i giovani, e ancora il vecchio Joanin, che tutti dicevano matto. In un fresco mattino di autunno li misero sullo stesso sentiero e li aspettarono dall’altra parte.

Si sentiva profumo di muschio e di funghi, le foglie dei frassini viravano all’oro e i ciliegi selvatici si incendiavano di sfumature di rosso. Alla fine della passeggiata, la donna aveva raccolto ortiche e piantaggine; il cacciatore aveva trovato nuove tracce del passaggio dei cinghiali; il prete aveva letto il breviario; il medico non capiva perché perder tempo in quel modo: una passeggiata al giorno aiuta sempre la salute, ma lui aveva ben cercato e cercato senza vedere nulla. La bambina invece uscì dal bosco correndo, con un ginocchio sbucciato e la risata forte: raccontava che c’era un sentiero di occhi che la osservavano dagli alberi. Joanin sorrise e, con la saggezza di quelli che tutti nei villaggi chiamano matti, diede un buffetto alla bambina e le disse: “Ah, meno male che li vedi anche tu, altrimenti mi davano di nuovo del fòl!”.

Già, perché l’escondut, come dice il suo nome, è nascosto ai più: lo puoi vedere solo se non lo cerchi e se sai andartene a spasso approfittando della natura intorno, prendendo tempo, senza uno scopo preciso. Magari guardi in alto o vieni distratto dal grido di un uccello, da un fruscio, da uno scricchiolio; magari finisci persino per inciamparti in una radice che sporge o in un sasso. Ma è così che lo vedi: se sei aperto alle novità, se scegli di andare avanti anche se non sai bene dove porta la strada, se accetti di poter cadere, se pensi che anche quel che è un po’ nascosto possa essere importante. Allora lo scopri, lo vedi; improvvisamente ti viene in mente quella parola che da tanto avevi sulla punta della lingua, ti ricordi dov’è finito quell’oggetto cercato a lungo, ti salta agli occhi la soluzione al problema che ti tiene sveglio la notte: insomma, ci vedi chiaro. È tutta una questione di vedere: se vedi l’escondut, poi ci vedi meglio nella vita. Ma ricordati che anche lui vede te. E chissà cosa pensa, questo magico escondut.

Grazie a Caterina Ramonda per la collaborazione lettararia, Alessandro Saglietti per il supporto grafico, Francesco di Meglio per l’aiuto sul campo.

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